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La Russia: curiosa, “l’ennesima” uccisione di Al-Baghdadi

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Sicuri che fosse proprio Abu Bakr Al-Baghdadi, il “cane” terrorista morto in Siria nella notte tra il 26 e il 27 ottobre sotto i colpi del raid statunitense? Se lo domanda su “Asia Times” un reporter come Pepe Escobar, che sospetta si tratti dell’ennesimo spettacolo teatrale offerto dagli Usa, come l’ipotetica eliminazione di Osama Bin Laden, “giustiziato” il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Paskistan senza che al pubblico sia stata mostrato uno straccio di prova dell’accaduto. Idem in questo caso: come per Bin Laden, i resti del capo dell’Isis sarebbero stati prontamente “dispersi in mare”. Secondo fonti siriane – scrive Escobar, in un articolo tradotto da “Come Don Chisciotte” – una voce diffusa a Idlib riferisce che il terrorista ucciso a Barisha «potrebbe essere Abu Mohammad Salama, il leader di Haras al-Din», un sottogruppo minore di “Al-Nusra”, cioè “Al-Qaeda in Siria”. L’isis (Daesh) ha comunque già nominato un successore: Abdullah Qardash, alias Hajji Abdullah al-Afari, anch’egli iracheno ed ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein. A non convincere Escobar è la spettacolarizzazione della pretesa fine del capo dello Stato Islamico: «È morto come un cane», si è affrettato a proclamare Trump, brandendone lo scalpo come «l’ultimo, vittorioso trofeo della sua politica estera, prima della rielezione del 2020».
Secondo Escobar, la “sceneggiatura” è già stata scritta: il terrorista super-codardo intrappolato in un tunnel senza uscita, otto elicotteri che gli volteggiano sopra la testa, cani che abbaiano nell’oscurità, tre bambini terrorizzati presi come ostaggi. Poi il “codardo” fa esplodere il suo giubbotto imbottito di tritolo, il tunnel crolla e seppellisce anche i bambini. A seguire: una squadra forense preleva i campioni di Dna del Califfo e svolge il suo lavoro a tempo di record. I resti umani, poi sigillati in sacchetti di plastica, confermano: è Al-Baghdadi. Missione compiuta: partono i titoli di coda. «Tutto ciò – scrive Escobar – è accaduto in un complesso a 300 metri dal villaggio di Barisha, a Idlib, nel nord-ovest della Siria, a soli 5 chilometri dal confine tra Siria e Turchia». Il complesso «non esiste più: è stato completamente distrutto, per non farlo diventare un santuario (siriano) di un iracheno rinnegato». Secondo la ricostruzione, il Califfo era già in fuga. A quanto riferisce l’intelligence turca, era arrivato in quella remota contrada solo 48 ore prima del raid. Domanda: cosa ci faceva, l’ipotetico fuggiasco, in una sacca che l’esercito siriano e le forze aeree russe stanno solo aspettando il momento giusto per estinguere?
A Idlib, sottolinea Escobar, non c’è praticamente traccia di jihadisti dell’Isis. L’area invece pullula di appartenenti alla formazione Hayat Tahrir al-Sham, precedentemente nota come Jabhat al-Nusra, cioè “Al-Qaeda in Siria”. Tagliagole presentati in Occidente «come “i ribelli moderati”, tra cui le irriducibili brigate turkmene, precedentemente armate dall’intelligence turca». L’unica spiegazione razionale, continua Escobar, è che il Califfo abbia considerato questa zona retrostante Idlib (nei pressi di Barisha e lontana dalla zona di guerra) una via di fuga ideale e poco conosciuta per filarsela in Turchia. E i russi? Sapevano quanto stava accadendo? «La trama si infittisce – annota Escobar – quando esaminiamo la lunga lista dei “ringraziamenti” di Trump per il successo del raid. La Russia è nominata per prima, seguita dalla Siria (presumibilmente i curdi siriani, non Damasco), poi Turchia e Iraq». Il comandante dei curdi siriani, Mazloum Abdi, ha preferito definire il raid «un’operazione storica», resa possibile da un indispensabile input dell’intelligence curdo-siriana. Nella conferenza stampa di Trump, nel corso dei ringraziamenti, la Russia è ritornata al primo posto: con Mosca «grande collaborazione». Davvero? E allora perché il Cremlino ha parlato della “ennesima” uccisione di Al-Baghdadi?
Tramite il generale Igor Konashenkov, scrive Escobar, il ministero della difesa russo ha infatti dichiarato di non disporre di «informazioni affidabili su truppe statunitensi che abbiano condotto un’operazione per – testualmente – “l’ennesima” eliminazione dell’ex leader del Daesh, Abu Bakr al-Baghdadi, nella parte controllata dalla Turchia della zona di de-escalation di Idlib». Di più: «Non sappiamo nulla – aggiunge Mosca – di assistenza al volo a velivoli statunitensi nello spazio aereo della zona di de-escalation di Idlib nel corso di questa operazione». Come dire: può essere accaduto di tutto, a nostra insaputa (anche un’esecuzione solo immaginaria, destinata ai media). Secondo gli 007 iracheni, l’ipotetica soffiata sulla presenza del Califfo era arrivata «da un siriano che aveva portato le mogli di due dei fratelli di Baghdadi, Ahmad e Jumah, a Idlib attraverso la Turchia».
In nessun modo, sottolinea Escobar, le forze speciali statunitensi avrebbero potuto fare una cosa del genere «senza complesse e coordinate informazioni di parte curda, turca, irachena e siriana», quindi anche con la supervisione o almeno il permesso di Mosca, padrona dei cieli siriani dalla fine del 2016. In ogni caso, aggiunge il reporter, con la notizia della fine del Califfo «il presidente Erdogan realizza un altro capolavoro tattico, facendo la parte del rispettoso, importante alleato della Nato, mentre permette ai resti di Al-Qaeda di rimanere al sicuro a Idlib, sotto lo sguardo attento dell’esercito turco». Sempre secondo Escobar, «esiste una forte possibilità che Isis-Daesh e una miriade di sottogruppi e di varianti di “Al-Qaeda in Siria” possano ora ricongiungersi, dopo la loro separazione nel 2014». Aggiunge il giornalista: «Non vi è alcuna spiegazione plausibile su come Abu Bakr al-Baghdadi abbia per anni potuto godere della libertà di spostarsi avanti e indietro tra Siria e Iraq, eludendo sempre le formidabili capacità di sorveglianza del governo degli Stati Uniti».
Una possibile spiegazione la suggerisce Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014): come già lo stesso Bin Laden, Al-Baghdadi (massone) è stato affiliato alla superloggia terrorista “Hathor Pentalpha”, guidata dai Bush. Missione: terremotare il pianeta (stragi, attentati, guerre) per imporre un’agenda sicuritaria (leggi speciali, Patriot Act) e intanto lucrare su armamenti e ricostruzioni post-belliche. Il capo di Al-Qaeda e quello dell’Isis? Due supermassoni occulti, incaricati di scatenare il terrore. Difficile che poi vengano lasciati morire “come cani”, una volta completato il “lavoro”. Ma, al di là delle ricostruzioni contraddittorie e solo in parte attendibili della loro fine, molto mediatica, secondo Magaldi la sostanza è politica: se prima Obama e poi Trump ne annunciano la morte, significa che non ne sentiremo parlare più. Traduzione: l’opzione politica del terrore (Al-Qaeda, Isis) finisce in archivio. Fino a quando? E’ vero che con l’Isis “resuscitò” Al-Qaeda dopo la presunta morte di Bin Laden. Ma ora, scommette Magaldi, è davvero improbabile che un terzo mostro terrorista pilotato dall’Occidente si affacci sulla scena. Motivo? La struttura di potere che partorì i primi due non sarebbe più in grado di replicare lo spettacolo.

Sicuri che fosse proprio Abu Bakr Al-Baghdadi, il “cane” terrorista morto in Siria nella notte tra il 26 e il 27 ottobre sotto i colpi del raid statunitense? Se lo domanda su “Asia Times” un reporter come Pepe Escobar, che sospetta si tratti dell’ennesimo spettacolo teatrale offerto dagli Usa, come l’ipotetica eliminazione di Osama Bin Laden, “giustiziato” il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Paskistan senza che al pubblico sia stata mostrato uno straccio di prova dell’accaduto. Idem in questo caso: come per Bin Laden, i resti del capo dell’Isis sarebbero stati prontamente “dispersi in mare”. Secondo fonti siriane – scrive Escobar, in un articolo tradotto da “Come Don Chisciotte” – una voce diffusa a Idlib riferisce che il terrorista ucciso a Barisha «potrebbe essere Abu Mohammad Salama, il leader di Haras al-Din», un sottogruppo minore di “Al-Nusra”, cioè “Al-Qaeda in Siria”. L’isis (Daesh) ha comunque già nominato un successore: Abdullah Qardash, alias Hajji Abdullah al-Afari, anch’egli iracheno ed ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein. A non convincere Escobar è la spettacolarizzazione della pretesa fine del capo dello Stato Islamico: «È morto come un cane», si è affrettato a proclamare Trump, brandendone lo scalpo come «l’ultimo, vittorioso trofeo della sua politica estera, prima della rielezione del 2020».

Secondo Escobar, la “sceneggiatura” è già stata scritta: il terrorista super-codardo intrappolato in un tunnel senza uscita, otto elicotteri che gli volteggiano sopra la testa, cani che abbaiano nell’oscurità, tre bambini terrorizzati presi come ostaggi. Poi il Il generale Igor Konashenkov“codardo” fa esplodere il suo giubbotto imbottito di tritolo, il tunnel crolla e seppellisce anche i bambini. A seguire: una squadra forense preleva i campioni di Dna del Califfo e svolge il suo lavoro a tempo di record. I resti umani, poi sigillati in sacchetti di plastica, confermano: è Al-Baghdadi. Missione compiuta: partono i titoli di coda. «Tutto ciò – scrive Escobar – è accaduto in un complesso a 300 metri dal villaggio di Barisha, a Idlib, nel nord-ovest della Siria, a soli 5 chilometri dal confine tra Siria e Turchia». Il complesso «non esiste più: è stato completamente distrutto, per non farlo diventare un santuario (siriano) di un iracheno rinnegato». Secondo la ricostruzione, il Califfo era già in fuga. A quanto riferisce l’intelligence turca, era arrivato in quella remota contrada solo 48 ore prima del raid. Domanda: cosa ci faceva, l’ipotetico fuggiasco, in una sacca che l’esercito siriano e le forze aeree russe stanno solo aspettando il momento giusto per estinguere?

A Idlib, sottolinea Escobar, non c’è praticamente traccia di jihadisti dell’Isis. L’area invece pullula di appartenenti alla formazione Hayat Tahrir al-Sham, precedentemente nota come Jabhat al-Nusra, cioè “Al-Qaeda in Siria”. Tagliagole presentati in Occidente «come “i ribelli moderati”, tra cui le irriducibili brigate turkmene, precedentemente armate dall’intelligence turca». L’unica spiegazione razionale, continua Escobar, è che il Califfo abbia considerato questa zona retrostante Idlib (nei pressi di Barisha e lontana dalla zona di guerra) una via di fuga ideale e poco conosciuta per filarsela in Turchia. E i russi? Sapevano quanto stava accadendo? «La trama si infittisce – annota Escobar – quando esaminiamo la lunga lista dei “ringraziamenti” di Trump per il successo del raid. La Russia è nominata per prima, seguita dalla Siria (presumibilmente i curdi siriani, non Damasco), poi Turchia e Iraq». Il comandante dei curdi siriani, Mazloum Abdi, ha preferito definire il raid «un’operazione storica», resa possibile da un indispensabile input dell’intelligence curdo-siriana. Pepe EscobarNella conferenza stampa di Trump, nel corso dei ringraziamenti, la Russia è ritornata al primo posto: con Mosca «grande collaborazione». Davvero? E allora perché il Cremlino ha parlato della “ennesima” uccisione di Al-Baghdadi?

Tramite il generale Igor Konashenkov, scrive Escobar, il ministero della difesa russo ha infatti dichiarato di non disporre di «informazioni affidabili su truppe statunitensi che abbiano condotto un’operazione per – testualmente – “l’ennesima” eliminazione dell’ex leader del Daesh, Abu Bakr al-Baghdadi, nella parte controllata dalla Turchia della zona di de-escalation di Idlib». Di più: «Non sappiamo nulla – aggiunge Mosca – di assistenza al volo a velivoli statunitensi nello spazio aereo della zona di de-escalation di Idlib nel corso di questa operazione». Come dire: può essere accaduto di tutto, a nostra insaputa (anche un’esecuzione solo immaginaria, destinata ai media). Secondo gli 007 iracheni, l’ipotetica soffiata sulla presenza del Califfo era arrivata «da un siriano che aveva portato le mogli di due dei fratelli di Baghdadi, Ahmad e Jumah, a Idlib attraverso la Turchia».

In nessun modo, sottolinea Escobar, le forze speciali statunitensi avrebbero potuto fare una cosa del genere «senza complesse e coordinate informazioni di parte curda, turca, irachena e siriana», quindi anche con la supervisione o almeno il permesso di Mosca, padrona dei cieli siriani dalla fine del 2016. In ogni caso, aggiunge il reporter, con la notizia della fine del Califfo «il presidente Erdogan realizza un altro capolavoro tattico, facendo la parte del rispettoso, importante alleato della Nato, mentre permette ai resti di Al-Qaeda di rimanere al sicuro a Idlib, sotto lo sguardo attento dell’esercito turco». Sempre secondo Escobar, «esiste una forte possibilità che Isis-Daesh e una miriade di sottogruppi e di varianti di “Al-Qaeda in Siria” possano ora ricongiungersi, dopo la loro separazione nel 2014». Aggiunge il giornalista: «Non vi è alcuna spiegazione plausibile su Al Baghdadi e Bin Ladencome Abu Bakr al-Baghdadi abbia per anni potuto godere della libertà di spostarsi avanti e indietro tra Siria e Iraq, eludendo sempre le formidabili capacità di sorveglianza del governo degli Stati Uniti».

Una possibile spiegazione la suggerisce Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014): come già lo stesso Bin Laden, Al-Baghdadi (massone) è stato affiliato alla superloggia terrorista “Hathor Pentalpha”, guidata dai Bush. Missione: terremotare il pianeta (stragi, attentati, guerre) per imporre un’agenda sicuritaria (leggi speciali, Patriot Act) e intanto lucrare su armamenti e ricostruzioni post-belliche. Il capo di Al-Qaeda e quello dell’Isis? Due supermassoni occulti, incaricati di scatenare il terrore. Difficile che poi vengano lasciati morire “come cani”, una volta completato il “lavoro”. Ma, al di là delle ricostruzioni contraddittorie e solo in parte attendibili della loro fine, molto mediatica, secondo Magaldi la sostanza è politica: se prima Obama e poi Trump ne annunciano la morte, significa che non ne sentiremo parlare più. Traduzione: l’opzione politica del terrore (Al-Qaeda, Isis) finisce in archivio. Fino a quando? E’ vero che con l’Isis “resuscitò” Al-Qaeda dopo la presunta morte di Bin Laden. Ma ora, scommette Magaldi, è davvero improbabile che un terzo mostro terrorista pilotato dall’Occidente si affacci sulla scena. Motivo? La struttura di potere che partorì i primi due non sarebbe più in grado di replicare lo spettacolo.


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